Eccidio di Sabbiuno
La mattina del 14 dicembre 1944 alcuni partigiani prelevati dal Carcere di San Giovanni in Monte e presi in consegna da “un comandante delle SS”, percorrono, a piedi o a bordo di camion coperti, le vie del centro di Bologna. Giunti all’altezza di Porta San Mammolo, imboccano la strada che porta alla prima collina bolognese, a sud della città. Passano pochi giorni e la mattina del 23 dicembre la scena si ripete, identica. Una situazione, all’apparenza, piuttosto ordinaria: non è la prima volta, infatti, che prigionieri politici vengono condotti verso la collina o l’appennino per svolgere mansioni di lavoro coatto. Ma nel bolognese nell’autunno-inverno del 1944 di ordinario non c’è più nulla. Il centro cittadino, le cui vie di accesso e fuga sono saldamente delimitate dalla Sperrzone, dopo il proclama Alexander (13 novembre), si trasforma in una trappola per i partigiani: sono vulnerabili e costretti a limitare al minimo l’azione con l’obiettivo di arrivare alla primavera. Fuori le mura la situazione non migliora. Se la zona appenninica è già stata teatro di rastrellamenti e stragi (Marzabotto), anche la pianura finisce nel mirino dell’azione antipartigiana: obiettivo principale delle SS e delle brigate nere è, infatti, individuare basi clandestine. Il 5 e il 7 dicembre, a seguito di una delazione, due grossi rastrellamenti investono, rispettivamente, le zone di Anzola dell’Emilia e Amola di Piano dove ci sono basi della 7ª GAP e della 63ª “Bolero”. Ed è in questi due rastrellamenti che vengono arrestati quei partigiani che le mattine del 14 e del 23 dicembre ricevono l’ordine di rilascio con destinazione cantieri di lavoro della Linea Gotica. L’esito di quelle due giornate è identico, e non conduce al lavoro coatto. Superata Porta San Mammolo e lasciata la città, dopo circa otto chilometri di cammino raggiungono la reale destinazione: Sabbiuno di Paderno, una località collinare semi-disabitata, la cui principale caratteristica geomorfologica è la presenza di alti calanchi che si innalzano su un ripido crinale. Giunti sul posto, vengono allineati lungo il ciglio del crinale e giustiziati. I corpi vengono fatti rotolare a valle e vengono ricoperti dal friabile terreno argilloso. Nessuna pubblicità, nessun comunicato delle SS, se non un generico manifesto a fine dicembre che rimanda a dei giustiziati: di tutto loro non vi è più traccia né notizia fino alla Liberazione, quando tra i compiti principali nelle nuove autorità civili vi è il tentativo di ricostruire quanto accaduto tra l’autunno del 1944 e la primavera del 1945. A inizio agosto, su indicazione del partigiano Bruno Tura – testimone dei fatti del 14 dicembre e sopravvissuto al campo di concentramento di Mauthausen – inizia una complessa operazione di esumazione dei cadaveri. Ad oggi il numero parziale riconosciuto è di 58 vittime. Quattro di loro – Adolfo “Moretto” Fantini, Ermes “Aquilone” Fossi, Vincenzo “Terremoto” Toffano e Dante “Tempesta” Drusiani – vengono celebrati con un funerale pubblico a Bologna il pomeriggio del 7 agosto 1945, davanti a una folla di circa 20.000 persone che riempie Piazza Maggiore e le vie del centro.