L’8ª Brigata Garibaldi si prepara alla Liberazione
Il 10 settembre del 1944 si riuniscono i vertici dell’8ª Brigata Garibaldi e i rappresentanti del CLN provinciale a Pieve di Rivoschio per organizzarne la discesa dalle montagne delle forze partigiane. La liberazione del territorio forlivese sembra ormai imminente: due settimane prima gli alleati hanno sfondato la Linea Gotica e il 5 settembre hanno conquistato la zona del Monte della Verna, a sud delle posizioni della Brigata.
Quindi, il 6 settembre, Ilario Tabarri, comandante dell’8ª Brigata Garibaldi, chiede a Primo Della Cava, ufficiale di collegamento del CUMER, quali siano le disposizioni per l’arrivo degli alleati, tenuto conto che, a causa della scarsità di munizioni, sarebbe impossibile attuare «una resistenza prolungata» da parte dei partigiani. Nella lettera, il comandante informa di aver già previsto il concentramento di tutte le forze della Brigata nella zona tra Spinello e Pieve di Rivoschio, che si attuerà «in 48 ore (…) con l’avvicinarsi del fronte».
Il giorno stesso, Primo Della Cava risponde che, data la situazione, bisogna concentrare tutte le forze su un unico obiettivo: Forlì. Inoltre, propone di vedersi il prima possibile per organizzare al meglio l’operazione. Tabarri, il giorno successivo, risponde di essere pienamente d’accordo e insiste sull’impellenza di riuscire a muoversi più velocemente degli alleati al momento dell’imminente ritirata nazifascista. Sempre lo stesso giorno, Tabarri scrive anche al comandante della Zona II, che è quella più vicina al fronte, raccomandandogli di non farsi distrarre dalla possibilità della discesa, che non è ancora sicura, ma di continuare a seguire attentamente gli spostamenti del nemico, al fine di non farsi tagliare la via verso la pianura.
Il 10 settembre avviene l’incontro a Pieve di Rivoschio, in cui vengono stimate le forze dei resistenti: 550 partigiani in montagna e 500 uomini in città tra SAP e GAP. Con poche munizioni, questi elementi, in una situazione di guerriglia, potrebbero non essere un problema, ma in un contesto di occupazione e mantenimento delle posizioni lo diventano. Inoltre, viene considerato che la situazione della Resistenza a Cesena è disastrosa a causa della repressione compiuta dalle forze nazifasciste negli ultimi mesi. Visti questi presupposti, viene deciso di puntare tutte le proprie energie sulla presa di Forlì, da effettuare nel momento esatto in cui le retroguardie tedesche saranno più deboli.
Nei giorni successivi, però, giungono le disposizioni del CUMER, inviate l’8 settembre, nelle quali si ordina di liberare sia Forlì sia Cesena. Il CUMER è sicuro della possibilità di una sommossa popolare in tutta la provincia, situazione che invece i vertici della Brigata non considerano plausibile.
Il 18 settembre, Tabarri scrive a Della Cava informandolo di aver ricevuto le disposizioni, che sono completamente divergenti da quelle decise nella riunione di Pieve di Rivoschio. Non abbiamo la risposta di Della Cava, ma lo stesso giorno Tabarri risponde al CUMER spiegando il piano stilato dalla Brigata, annotando però che eseguirà i nuovi ordini mandando 120 uomini a Cesena.
Il giorno successivo il comando dell’8ª Brigata invia una lettera a tutti i battaglioni chiedendo ai partigiani di prepararsi «militarmente e psicologicamente» per la lotta conclusiva, dove bisogna dimostrare davvero di essere «i migliori figli di questo popolo». Per far ciò serve armarsi di «coraggio, decisione nei movimenti, fermezza di carattere, spirito di sacrificio e disciplina».
A cura di
Peter Kleckner
Istituto storico della resistenza e dell’età contemporanea di Forlì Cesena