La banda Garaffoni
Il 14 ottobre 1944, il segretario del fascio di Cesena, Guido Garaffoni, lascia la città insieme ai suoi militi più fedeli. Nei mesi precedenti, il gruppo si è distinto per l’efferata repressione ai danni dei resistenti. Questo gruppo, operante con il beneplacito dell’esercito tedesco, si è arricchito svolgendo attività criminose, fatto che porta la popolazione locale a rinominarlo “banda Garaffoni”.
Persino le autorità della Repubblica Sociale Italiana avviano un’inchiesta nei confronti di Garaffoni e dei suoi uomini, accusati da alcuni fascisti locali di vessazioni e di essersi imposti alle elezioni per la segreteria del fascio cittadino utilizzando «i sistemi più vieti, quali il trasporto di elettori in camion, l’offerta di vino, ecc.». Nell’ambito dell’inchiesta, Garaffoni viene descritto come un uomo violento, arricchitosi tramite lo sfruttamento della prostituzione, le scommesse e la frode.
Cesena ha una forte presenza antifascista: la città vanta il più alto numero di condannati dal Tribunale speciale dell’intera provincia. Inoltre, già un anno dopo lo scoppio della guerra, con il fascismo ancora saldamente al potere, si registra uno dei primi scioperi italiani, quello dell’Arrigoni, dove lavorano 4.500 operaie.
Il Partito Comunista è particolarmente radicato in città e, la sera del 24 dicembre 1943, a soli quattro giorni dall’elezione di Garaffoni, decreta il passaggio alla lotta armata. Quella sera, un gappista rimasto ignoto uccide con un colpo di revolver il fascista soprannominato “Minion”, membro della “banda Garaffoni” e portinaio della fabbrica Arrigoni, dove è malvisto dalle operaie. Durante la fuga, il gappista uccide anche un altro milite fascista. Garaffoni risponde immediatamente ordinando un rastrellamento la notte successiva, durante il quale viene ucciso il vecchio socialista Eugenio Magnani.
Da quel momento inizia un duro scontro tra i fascisti e i partigiani cesenati.
I resistenti si distinguono per una serie di operazioni eclatanti, come quella compiuta la notte dell’8 febbraio 1944, quando un commando di otto gappisti assalta il carcere di Cesena, liberando il comunista Ezio Casadei e giustiziando il direttore della prigione, accusato di averlo torturato. Sempre i gappisti, il 2 aprile, infliggono una vera e propria umiliazione alla “banda” assaltando il caseificio di San Giorgio, di proprietà del vicesegretario del fascio di Cesena, Moreschini, e rubando quintali di formaggio destinati agli squadristi per Pasqua.
La “banda Garaffoni” opera in stretto contatto con le forze tedesche, partecipando attivamente al grande rastrellamento appenninico dell’aprile 1944, durante il quale vengono perpetrate violenze e stragi contro le forze partigiane e la popolazione civile. Particolarmente efferata è l’uccisione del diciassettenne Gino Fusconi, fratello minore di due dirigenti comunisti, seviziato a pugnalate e poi ucciso a colpi di mitra.
Durante l’estate, Garaffoni intensifica la propria opera repressiva, tanto che a settembre il movimento resistenziale cittadino attraversa una profonda crisi organizzativa, ottenendo per questo il plauso del generale tedesco Von Heygendorff.
Poco prima della liberazione di Cesena, Garaffoni fugge con i suoi uomini nel Vicentino, dove continua a operare. Dopo la Liberazione, viene arrestato a Thiers e prelevato da alcuni partigiani cesenati per essere processato in città, ma viene giustiziato lungo il tragitto.
A cura di
Peter Kleckner
Istituto storico della resistenza e dell’età contemporanea di Forlì Cesena