Verucchio. Strage di civili

Verucchio, posto su un colle che domina la media valle del Marecchia, come altri centri abitati del riminese in posizione strategica è presidiato da soldati tedeschi; appena fuori dai confini nord-ovest della Repubblica di San Marino, vede aumentare il numero di soldati perché diventato l’ennesimo caposaldo della resistenza germanica dopo la ritirata dal territorio dello Stato del Titano. Qui sono posizionate batterie di artiglieria che colpiscono alcuni castelli sammarinesi, come succede il 20 settembre con un bombardamento su Montegiardino che provoca l’uccisione di Pietro e Giuseppe Casadei e il ferimento di Sanzio Valentini. L’incalzare dell’avanzata delle truppe alleate costringe, nella notte tra il 20 ed il 21 settembre, le formazioni della Wehrmacht alla ritirata anche da questo centro, tra loro c’è il 993° reggimento granatieri. All’alba due soldati in retroguardia vengono aggrediti da persone rimaste ignote e fatti oggetto di fucilate in Via dei Fossi, a ridosso del fossato di un antica fortificazione medievale. Uno dei due, Heinrich Harre, viene ucciso mentre il camerata riesce a fuggire e ad avvertire i commilitoni che tornano indietro per consumare la rappresaglia contro i civili, prevista dalle feroci regole che i nazisti applicano in Italia con numerosi stragi. Durante la mattinata vengono rastrellate 10 persone, cittadini verucchiesi e sfollati prelevati nei rifugi. Tre di loro, Lazzaro Berardi Luigi Brighi e Gregorio Zavatta, sono uccisi lungo la strada che conduce alla zona dell’ospedale dove è prevista la fucilazione. I restanti sette inermi e incolpevoli civili sono costretti a seppellire il soldato tedesco e i tre italiani già colpiti, quindi si procede alla fucilazione che avviene attorno alle ore 14,30 del 21 settembre, meno di mezza giornata dopo la liberazione della città di Rimini che dista appena una quindicina di chilometri.
Mentre il grosso delle truppe tedesche è già lontano dal borgo, i camerati di Herre si affrettano alla loro macabra vendetta, evitata dal solo sedicenne Umberto Bonfè perché poche ore prima aveva dato un impermeabile a un soldato che ora è schierato nel plotone di esecuzione. Per questo motivo l’eccidio viene consumato su 9 civili anziché su tutti i 10 rastrellati. I sei, uccisi e lasciati insepolti, sono Antonio Achilli, Giuseppe Bracchini, Pietro Celli, Luigi Filippi, Primo Foschi, Paolo Moretti. Appena consumata la strage, alle 16,30, anche Verucchio vede giungere le prime pattuglie di soldati alleati che trovano il paese completamente abbandonato dal nemico. L’efferata strage è indagata inizialmente nel 1945, con la raccolta di testimonianze di cittadini del paese, ma l’inchiesta viene archiviata nel famoso “armadio della vergogna”; nel 1996 è riaperta dal Tribunale militare di La Spezia, con imputati due marescialli tedeschi individuati però solo con generici nomi, Willy e Ricardo, per questo motivo tre anni dopo anche questa nuova inchiesta viene archiviata per l’impossibilità di identificare i responsabili. Il luogo della fucilazione è oggi un parco dedicato alla memoria dei “Nove Martiri”, con un cippo che ricorda il loro eccidio. Anche la Via dei Fossi, oggi denominata “Sentiero dei fossati”, dove venne ucciso Heinrich Harre, è entrato nel percorso dei locali “luoghi della memoria”.


La liberazione di Rimini

La difesa elastica predisposta nel settore orientale della Linea Gotica dal comandante della 10ª armata germanica, Heinrich von Vietinghoff-Scheel, è particolarmente efficace nel rallentare l’avanzata alleata; la battaglia dell’aeroporto e la ferma resistenza a San Martino Montelabbate hanno costretto gli Alleati a perdere preziosi giorni prima di giungere all’ultima delle linee difensive in profondità organizzate dai Tedeschi. Si tratta della Linea Gialla che parte da Rimini verso l’entroterra e ha i suoi capisaldi sul Colle di Covignano, dove i soldati hanno l’ordine di resistere ad ogni costo. L’attacco alleato inizia con cannoneggiamenti fin dal 17 settembre ma è dal 18 che tutta la linea viene coinvolta dalla battaglia con incessanti bombardamenti, sebbene i canadesi siano ancora bloccati a San Martino Montelabbate. Il 19 però, grazie allo sganciamento dei Tedeschi da quest’ultima posizione, tutte le forze possono essere impiegate dagli Alleati; al contrario i soldati germanici, in assenza di rimpiazzi, devono sopportare la terribile artiglieria che li martella da terra e da mare mentre dal cielo piovono in continuazione le bombe: si stima che durante la battaglia siano state lanciate quasi un milione e mezzo di granate. La parte preponderante dell’attacco a Rimini spetta alla 1ª divisione di fanteria canadese, di fronte alla quale si trovano sia la temibile 29ª divisione granatieri corazzati, sia un reggimento della 162ª divisione turkmena. La conquista della città, difesa da un’altra forte formazione tedesca, la 1ª divisione paracadutisti, è affidata alla 3ª brigata da montagna greca. I duri combattimenti non portano subito allo sfondamento del fronte avversario ma il comandante dei canadesi, gen. Vokes, intuisce che in alcuni punti i successi possono provocare il collasso della Linea Gialla e pertanto ordina di rinnovare gli attacchi. Infatti al crepuscolo reparti del 22° reggimento (chiamato Van Doos) conquistano due posizioni importanti: Villa Belvedere e Villa Paradiso, dove i turkmeni ivi assegnati si arrendono facilmente. In questo modo lasciano scoperto un varco che presto verrà sfruttato dal reggimento Loyal Edmonton, il quale giungerà fino a San Lorenzo Monte, minacciando di accerchiare le restanti forze germaniche sul crinale. La situazione sembra disperata per i Tedeschi ed infatti il 20 settembre gran parte delle truppe viene autorizzata a ritirarsi dietro il Marecchia. Il Reggimento Princess Patricia, subentrato al Loyal Edmonton, continua ad avanzare fino ad avvicinarsi al fiume. Nonostante il clamoroso scacco di Montecieco, dove la 90ª divisione granatieri corazzati tedesca riesce a distruggere gran parte dei carri armati della 1ª divisione corazzata inglese senza apprezzabili perdite, gli Alleati avanzano e i paracadutisti asserragliati a Rimini corrono il rischio di essere accerchiati. Il gen. Von Vietinghoff - che, per timore di perdere l’intero reparto, è contrario ad una difesa casa per casa come richiesto dal comandante in capo maresciallo Albert Kesselring - dopo serrate discussioni ottiene alla sera del 20 il permesso di evacuare la città, in una ritirata piuttosto rapida perché nella notte il reggimento Princess Patricia giunge a San Martino in Riparotta, sul Marecchia. Gli Alleati possono quindi entrare in una Rimini abbandonata dai Tedeschi e completamente disabitata: all’alba del 21 settembre piantano sul municipio in Piazza Cavour la loro bandiera i greci, a cui il gen. Harold Alexander, comandante in capo delle forze alleate, aveva concesso l’onore della conquista della città.


Rimini (Miramare). Greci e canadesi combattono per l'aeroporto di Miramare

Il 15 settembre 1944 la battaglia di Coriano volge al termine, ma i tedeschi continuano a condurre aggressive tattiche di retroguardia. I greci della 3° brigata da montagna riescono a oltrepassare il fiume Marano e a entrare nel perimetro dell’aeroporto di Rimini, ma le mine e le mitragliatrici tedesche, li respingono. Il 16 mattina tocca ai canadesi il compito di sloggiare i tedeschi dalla piana dell’aeroporto. Scoprono ben presto a loro spese che pur avendo superato le linee Verde n.1 e n.2 non c’è nessun tappeto rosso ad accoglierli alle porte di Rimini. La zona dell’aeroporto di Miramare di Rimini, infatti, è difesa da un complicato intrico di trincee con campi di tiro incrociati, ostacoli anticarro, mine e due torrette di carro Pantera interrate. Nella frazione di San Martino Montelabbate c’è un grosso bunker da osservazione tedesco munito di telemetri da marina da cui si domina la piana sottostante sino al litorale. Contro le munite difese dell’aeroporto viene lanciato il Royal Canadian Regiment, mentre l’altura tocca in sorte agli uomini del 48° Highlanders of Canada, i difensori sono i soliti coriacei parà tedeschi della 1° divisione. Per tre giorni, 16-17-18 settembre, si verificano scontri durissimi, con un altissimo tasso di perdite in entrambi gli schieramenti: oltre mille uomini tra morti, feriti e dispersi.
Ogni giorno si assiste a immense prove di coraggio ed eroismo da ambo le parti. Due sottufficiali canadesi, il caporale McMahon e il sergente Hardingham, sono decorati per aver da soli conquistato due casolari pieni zeppi di parà tedeschi: ne uccidono 12 e ne prendono prigionieri 21.
Un valoroso ufficiale canadese, il capitano Bates, viene ferito mentre guida i suoi uomini all’assalto nella zona dell’aeroporto. Uno sconosciuto autista di ambulanza canadese da solo si butta in mezzo ai tedeschi per recuperarlo. I parà tedeschi cessano il fuoco e gli fanno riportare in salvo il ferito, aiutandolo anche a entrare nel veicolo. Poi salutano militarmente e riprendono a combattere.
Pur di resistere ai forsennati attacchi della 1° divisione di fanteria canadese, 72 parà tedeschi comandati dal maggiore Renisch ricorrono a tattiche estreme: non appena i nemici sono troppo vicini o addirittura già dentro l’abitato di San Martino Montelabbate, si nascondono nelle cantine dalle volte rinforzate e nel grande bunker comando e si fanno sparare addosso dalle proprie artiglierie che fanno strage degli assalitori (90 morti e 6 carri armati distrutti solo il giorno 17 settembre). Ma un altro reggimento canadese, quello dei Van Doos, giunge alle spalle di San Martino Montelabbate dopo aver occupato la villa des Verges, appoggiato alla sua sinistra dalla spinta offensiva del reggimento Princess Patricia che cerca di oltrepassare l’Ausa combattendo contro il 15° reggimento della 29° divisione panzergrenadier. Frattanto, la 4° divisione britannica attraversa il Marano a Ospedaletto e conquista San Patrignano, combattendo su un terreno difficile e venendo ostacolata dai continui tiri dell’artiglieria tedesca che spara dal crinale di Mulazzano, dove è arrivata di rinforzo la 356° divisione di fanteria. I parà della 1° divisione tedesca sono perciò costretti a evacuare la zona dell’aeroporto per evitare di essere tagliati fuori. Lo fanno nella notte tra il 18 e il 19 e vanno a occupare le posizioni dell’ultima linea difensiva prima della pianura padana, la Linea Gialla, che va da Bellariva a San Marino, passando per il colle di Covignano e Montecieco.


Gemmano. Si combatte corpo a corpo sul bastione della Linea Verde n.2

Tra il 4 e il 6 settembre si svolge la prima battaglia di Coriano. I tedeschi, in ritirata dalla Linea verde n.1, vengono tempestivamente rinforzati con due reggimenti (il 71° della 29° divisione panzergrenadier e il 100° della 5° divisione da montagna) e un battaglione corazzato (il 129° della 29° panzergrenadier). L’urto delle forze canadesi e inglesi va a infrangersi proprio contro queste unità.
Il terreno collinare romagnolo, tra filari di viti e frutteti, mal si presta alla guerra con i mezzi corazzati, perché sono facilmente inquadrabili dai ben mimetizzati cannoni anticarro tedeschi e dalle armi anticarro della fanteria (panzerfaust e panzerschreck), perciò lungo la cresta di Coriano (la cosiddetta Coriano Ridge) la battaglia si mette subito male per gli alleati. Il I corpo d’armata canadese resta bloccato fra Riccione e Coriano stessa, mentre gli inglesi vengono arrestati sul crinale di Passano e San Savino.
Il 5 settembre la chiesa di San Lorenzino è tenacemente difesa dai paracadutisti tedeschi della 1° divisione dai reiterati attacchi canadesi condotti con truppe blindate e di fanteria. A S. Savino il 9° reggimento corazzato Lancers è rimasto con soli 20 carri Sherman sui 52 in organico. I fanti della 18° brigata inglese vengono costretti a sanguinosi combattimenti nelle case del paese, nella chiesa e nel cimitero dai tedeschi del 289° reggimento e del 198° battaglione fucilieri. Il 6 piove molto forte e ogni puntata alleata è respinta dai carri della 26° divisione panzer.
La prima battaglia per Coriano è finita. Per superare l’inaspettata impasse tattica, i comandi inglesi decidono di passare dietro al Coriano Ridge e risalire la valle del fiume Conca, ma così facendo vanno a cozzare contro i capisaldi tedeschi di Croce e Gemmano.
La seconda battaglia di Coriano inizia nella notte tra il 12 e il 13 settembre quando 700 cannoni aprono il fuoco contro le postazioni tedesche.
Lungo la fascia costiera i greci, i neozelandesi e i canadesi attaccano i parà della 1° divisione, mentre a Coriano i canadesi si lanciano contro le posizioni della 29° divisione panzergrenadier e a Passano la 26° divisione panzer viene attaccata dai gurkha della 43° brigata. A S. Savino la 1° divisione corazzata britannica, sostenuta anche da reparti delle divisioni di fanteria 46° e 56°, si avventa sui resti della 98° divisione di fanteria tedesca.

Oggi il “fossone” a sud dell’abitato di Coriano si percorre in un minuto di auto, ma agli alleati ci vuole dal 12 al 15 settembre per venire a capo e sfondare la Linea Verde n.2 in una serie di scontri sanguinosissimi, come nel caso della frazione di S. Maria di Scacciano dove i paracadutisti tedeschi del 3° reggimento e i fanti canadesi del reggimento Hastings si massacrano letteralmente a vicenda.

Poco distante, a proposito dei combattimenti attorno al cimitero di San Savino, scrive lo storico Douglas Orgill: “Ormai la strada era ingombra da mucchi di cadaveri e al termine della battaglia i fucilieri inglesi in cammino tra le rovine videro che ovunque fosse rimasto in piedi un solo muro, l’intonaco era imbrattato di sangue inglese o tedesco”. Stessa cosa per la frazione di Passano, dove ogni casa è un piccolo fortilizio tedesco e ovunque vi sono soldati morti. Nonostante i carri armati alleati entrino a Coriano nel tardo pomeriggio del 13 settembre, ci vogliono ancora 48 ore per venire a capo della coriacea resistenza tedesca in quel che resta delle difese della Linea Verde n.2.


Coriano. Violenze sui civili e vendette sulla Linea Verde n.2

Dopo lo sfondamento della Linea Verde n.1 a fine agosto, la tenace difesa tedesca si assesta sulla Linea Verde n.2 che corre da Gemmano a Coriano e Riccione, investita dall’offensiva alleata a partire dal 3 settembre. Per quasi due settimane i territori lungo la linea subiscono una totale devastazione per bombardamenti e combattimenti che avvengono spesso casa per casa, con i due eserciti a scontrarsi indifferenti alla presenza della popolazione costretta in precari rifugi. Nel settore della linea più vicino alla costa, a Riccione e Coriano, alla drammaticità dello scontro militare si somma la feroce violenza nazifascista che si abbatte su decine di civili inermi. Il 3 settembre, mentre è liberata la frazione corianese di Sant’Andrea in Besanigo, a Cerasolo, all’altro estremo del territorio comunale, viene fucilato dai tedeschi il 22enne antifascista Aristodemo Ciavatti, accusato di aver ucciso un militare alcuni giorni prima. È stato catturato mentre fugge nella Repubblica di San Marino insieme al fratello Mario, il vero autore dello scontro con il soldato germanico; la madre e la fidanzata dell’altro fratello, Libero, sono salvate dall’intervento del parroco don Vincenzo Foschi.
Seguono diversi episodi di violenza sui civili a Coriano, a volte solo perché sorpresi ad uscire dai ripari per cercare acqua o viveri, o perché in fuga da rifugi diventati pericolosi, come quelli in località Le Saline bombardati a più riprese tra l’8 e il 12 settembre con decine di morti e feriti. Le operazioni per la liberazione dell’intero territorio corianese sono estremamente lunghe, durano almeno fino al 17 settembre, e sono punteggiate da spietate violenze che portano alla morte una quindicina di persone, in episodi singoli o con punizioni collettive, come è successo a Vito Fabbri insieme al suocero Giuseppe Pazzaglini e un anziano vicino di casa, Agostino Faetani, fucilati a Cà Righetti l’11 settembre senza alcun motivo.
Anche la liberazione totale del territorio del comune di Riccione è impegnativa e di lunga durata, e anche qui si ripete lo stillicidio di violenze e uccisioni di civili inermi. Dopo l’arrivo il 2 settembre nella periferia sud della città, il fronte di guerra si ferma per giorni sulle opposte sponde del Rio Melo e del porto-canale, quindi si abbatte con ripetute battaglie sull’area della chiesa parrocchiale di San Lorenzo in Strada, posta poco prima del torrente Marano e dell’aeroporto di Miramare, al confine nord del comune, raggiunti solamente a metà mese. Durante questi giorni caotici, proprio a San Lorenzo avviene l’efferato delitto di Giulia e Vittorio Montali, gli anziani fratelli del parroco, don Giovanni Montali, antifascista ben noto ai repubblichini del luogo; minacciato di morte, il 20 giugno 1944 il sacerdote fugge a San Marino nascondendosi nel convento di Valdragone. Non potendo trovare il loro avversario politico, i fascisti riccionesi approfittano della confusione creata dagli scontri armati per vendicarsi sui fratelli, uccidendoli e gettandoli nel pozzo della canonica. In seguito i fascisti riccionesi scaricarono la colpa sui soldati tedeschi ma il parroco seppe la verità, anche se si rifiutò di denunciare i veri colpevoli. La popolazione dei due comuni pagò molto caro il passaggio del fronte di guerra. Oltre a centinaia di feriti, imorti furono 172 a Coriano e 69 a Riccione; di questi oltre 20 furono vittime di azioni violente da parte di soldati nazisti e fascisti llocali.


Sul crinale di Coriano i tedeschi tengono duro

Tra il 4 e il 6 settembre si svolge la prima battaglia di Coriano. I tedeschi, in ritirata dalla Linea verde n.1, vengono tempestivamente rinforzati con due reggimenti (il 71° della 29° divisione panzergrenadier e il 100° della 5° divisione da montagna) e un battaglione corazzato (il 129° della 29° panzergrenadier). L’urto delle forze canadesi e inglesi va a infrangersi proprio contro queste unità. Il terreno collinare romagnolo, tra filari di viti e frutteti, mal si presta alla guerra con i mezzi corazzati, perché sono facilmente inquadrabili dai ben mimetizzati cannoni anticarro tedeschi e dalle armi anticarro della fanteria (panzerfaust e panzerschreck), perciò lungo la cresta di Coriano (la cosiddetta Coriano Ridge) la battaglia si mette subito male per gli alleati. Il I corpo d’armata canadese resta bloccato fra Riccione e Coriano stessa, mentre gli inglesi vengono arrestati sul crinale di Passano e San Savino. Il 5 settembre la chiesa di San Lorenzino è tenacemente difesa dai paracadutisti tedeschi della 1° divisione dai reiterati attacchi canadesi condotti con truppe blindate e di fanteria. A S. Savino il 9° reggimento corazzato Lancers è rimasto con soli 20 carri Sherman sui 52 in organico. I fanti della 18° brigata inglese vengono costretti a sanguinosi combattimenti nelle case del paese, nella chiesa e nel cimitero dai tedeschi del 289° reggimento e del 198° battaglione fucilieri. Il 6 piove molto forte e ogni puntata alleata è respinta dai carri della 26° divisione panzer. La prima battaglia per Coriano è finita. Per superare l’inaspettata impasse tattica, i comandi inglesi decidono di passare dietro al Coriano Ridge e risalire la valle del fiume Conca, ma così facendo vanno a cozzare contro i capisaldi tedeschi di Croce e Gemmano. La seconda battaglia di Coriano inizia nella notte tra il 12 e il 13 settembre quando 700 cannoni aprono il fuoco contro le postazioni tedesche. Lungo la fascia costiera i greci, i neozelandesi e i canadesi attaccano i parà della 1° divisione, mentre a Coriano i canadesi si lanciano contro le posizioni della 29° divisione panzergrenadier e a Passano la 26° divisione panzer viene attaccata dai gurkha della 43° brigata. A S. Savino la 1° divisione corazzata britannica, sostenuta anche da reparti delle divisioni di fanteria 46° e 56°, si avventa sui resti della 98° divisione di fanteria tedesca. Oggi il “fossone” a sud dell’abitato di Coriano si percorre in un minuto di auto, ma agli alleati ci vuole dal 12 al 15 settembre per venire a capo e sfondare la Linea Verde n.2 in una serie di scontri sanguinosissimi, come nel caso della frazione di S. Maria di Scacciano dove i paracadutisti tedeschi del 3° reggimento e i fanti canadesi del reggimento Hastings si massacrano letteralmente a vicenda. Poco distante, a proposito dei combattimenti attorno al cimitero di San Savino, scrive lo storico Douglas Orgill: “Ormai la strada era ingombra da mucchi di cadaveri e al termine della battaglia i fucilieri inglesi in cammino tra le rovine videro che ovunque fosse rimasto in piedi un solo muro, l’intonaco era imbrattato di sangue inglese o tedesco”. Stessa cosa per la frazione di Passano, dove ogni casa è un piccolo fortilizio tedesco e ovunque vi sono soldati morti. Nonostante i carri armati alleati entrino a Coriano nel tardo pomeriggio del 13 settembre, ci vogliono ancora 48 ore per venire a capo della coriacea resistenza tedesca in quel che resta delle difese della Linea Verde n.2.


I "Tre Martiri" vengono giustiziati

Nella notte fra sabato 12 e domenica 13 agosto 1944 in località Fornace Marchesini, nelle campagne a sud della città di Rimini, alcuni partigiani incendiano una trebbiatrice per impedire l’esproprio del grano, cosa che avviene sistematicamente con fascisti e truppe tedesche che si riforniscono di viveri requisendo e rapinando la popolazione civile. Parte subito la caccia ai sabotatori; in una delle retate è fermato uno sfollato, Leo Celli, che a seguito di minacce indica Alfredo Cecchetti come esecutore dell’incendio. Dall’interrogatorio di Celli emerge il luogo del rifugio di una squadra appartenente alla 29 brigata GAP “Gastone Sozzi”, l’ex caserma di via Ducale, in macerie come gran parte della città dai bombardamenti. Il 14 agosto militi fascisti e soldati della Wehrmacht circondano il nascondiglio dei partigiani, cogliendo di sorpresa Mario Cappelli di 23 anni, il 23enne Luigi Nicolò, e Adelio Pagliarani di soli 19 anni. I tre giovani gappisti vengono portati al convento delle Grazie, sul colle di Covignano dove si è installato il comando militare tedesco. Altri componenti della squadra, come Cecchetti e la staffetta Rosa Donini, si salvano dalla cattura perché fuori dal rifugio. Nel convento i tre gappisti vengono processati da un tribunale militare che, pur non potendo dimostrare la responsabilità nell’incendio della trebbiatrice, li condanna a morte per “ammassamento clandestino di armi e munizioni a fine terroristico e di reati di sabotaggio e di reati contro cose e persone” come viene scritto nel manifesto che il 16 agosto pubblica il commissario straordinario del comune, Ugo Ughi. La condanna a morte, firmata dal generale Heygendorff, non è legata a fatti di sangue contro soldati tedeschi ma come rappresaglia verso i partigiani e monito alla popolazione civile, così come chiede con forza anche Paolo Tacchi, il segretario federale del fascio repubblicano. La mattina del 16 agosto i tre giovani patrioti sono portati in piazza Giulio Cesare, nel centro della città di Rimini. Soldati turkmeni della 162 divisione germanica issano una forca accanto alla cappellina di Sant’Antonio da Padova e procedono all’impiccagione. Li guidano alcuni ufficiali nazisti e un dirigente della Guardia Nazionale Repubblicana. All’impiccagione sono presenti pochi civili, tra loro si confondono due compagni dei tre gappisti, Augusto Cavalli e Libero Angeli che in seguito descriverà la scena. I corpi dei tre giovani gappisti sono lasciati esposti al sole della giornata di metà agosto e fino al pomeriggio successivo quando, contravvenendo all’ordine del comando tedesco di lasciarli esposti per tre giorni, il commissario straordinario Ughi li fa portare al cimitero dove verranno sepolti la mattina del 18 agosto. A inizio ottobre 1944, nella prima seduta dopo il suo insediamento, la giunta comunale espressa dal Comitato di Liberazione Nazionale cambia l’intitolazione della piazza dove è avvenuta l’impiccagione di Cappelli, Nicolò e Pagliarani: da Giulio Cesare diventa “Tre Martiri”. Nella stessa piazza in seguito verrà eretto il monumento che ricorderà i tre gappisti e gli altri resistenti riminesi caduti.