Le stragi di Monte Sole
Monte Sole è un gruppo montuoso posto alla confluenza dei fiumi Reno e Setta, ultimo baluardo difensivo prima di Bologna. Lungo il crinale che da sud raggiunge Monte Sole avanzano i sudafricani che il 28 settembre 1944 raggiungono Castiglione dei Pepoli e due giorni più tardi iniziano la battaglia per la conquista di monte Catarelto, difeso da unità del 35° reggimento, della 16a divisione SS. È proprio la posizione strategica di monte Sole a far decidere agli alti comandi tedeschi di schierare su questo fronte, a partire dalla metà di settembre, tale divisione.
Monte Sole è anche il territorio in cui agisce la brigata partigiana “Stella Rossa”, che nel maggio precedente ha respinto un tentativo di rastrellamento operato dai tedeschi. Intanto la brigata partigiana ha stabilito il proprio comando nella zona di San Martino.
Vista la minaccia reale che le truppe SS in prima linea potessero venire accerchiate da sud dai sudafricani e da nord dai partigiani, i comandi tedeschi decidono di attuare un’operazione di rastrellamento, definita di “annientamento”, contro la brigata partigiana.
Dopo aver chiuso il perimetro attorno a monte Sole, all’alba del 29 settembre quattro compagnie del 16° reparto esplorante (16a divisione SS), sotto il comando del maggiore Reder, iniziano salire i pendii di monte Sole partendo dalla valle del fiume Setta, mentre altri reparti della 16a divisione SS e dell’esercito, da nord, da sud-ovest, si dirigono anch’essi verso la cima.
I tedeschi delle SS quando giungono nelle borgate che incontrano (tranne la prima) uccidono le persone: donne, vecchi e bambini (gli uomini si sono rifugiati nei boschi) e incendiano le abitazioni. Non vengono risparmiante neanche le persone rifugiate presso la chiesa di Casaglia, fucilate poi dentro il cimitero. Anche le persone rifugiate a Creda (29 settembre), nella chiesa di Cerpiano (29-30 settembre) e a San Martino (30 settembre) vengono uccise e gli edifici incendiati. Ma le stragi avvengono anche in altre località del gruppo montuoso.
A Cadotto muore Mario Musolesi, comandante della brigata partigiana, nel primo e violento scontro che prende avvio all’arrivo dei soldati tedeschi nella borgata.
I partigiani sono presi alla sprovvista, avendo scarse munizioni, infatti il lancio promesso qualche giorno prima non è avvenuto, reagiscono come possono. La maggior parte filtra tra le linee, solo pochi, e tra questi il cosiddetto battaglione russo (formato da ex prigionieri russi arruolati nella fila tedesche, passati da tempo ai partigiani) resiste su monte Abelle.
Nel frattempo reparti della polizia della 16a divisione SS rastrellano i versanti opposti dei fiumi Reno e Setta per catturare manodopera coatta. Dopo una sommaria selezione gli uomini abili vengono mandati a Bologna per essere poi inviati in Germania, alcuni vengono rilasciati, mentre quelli non giudicati abili vengono uccisi (Pioppe di Salvaro e Canovetta, 1° ottobre).
Nei giorni delle stragi di monte Sole sono 770 i morti, tra cui 216 i bambini sotto i dodici anni.
Monte Sole è la strage col maggior numero di vittime dell’Europa occidentale.
Il territorio della strage, tra il crinale di monte Sole e monte Caprara, dove si stabilisce la linea difensiva tedesca e monte Salvaro, raggiunto dai sudafricani il 24 ottobre, rimarrà fino alla primavera 1945 “terra di nessuno”, dove però le persone rimaste intrappolate dall’arrivo del fronte di guerra continuano a morire tra bombardamenti alleati e uccisioni da parte dei tedeschi.
Nel 1989 viene istituito il parco storico di Monte Sole, che apre il centro visita “Il Poggiolo”. Nel 1974, Luigi Fontana acquista la casa del Poggio e pochi anni dopo la abita stabilmente: è la prima persona a tornare a vivere a monte Sole. Nel 1985, nei pressi del cimitero di Casaglia, apre il monastero della Piccola famiglia dell’Annunziata (https://www.piccolafamigliadellannunziata.it/sede-di-montesole/), ordine fondato da Giuseppe Dossetti. Il suo corpo, assieme a quello di monsignor Gherardi, riposano dentro il cimitero di Casaglia. La maggior parte dei morti di monte Sole riposa invece nel Sacrario di Marzabotto. Dal 1953, sulla cima di monte Sole è presente il cippo alla brigata partigiana “Stella Rossa”. Nel 2002, vicino a San Martino, viene aperta la Scuola di Pace Monte Sole (https://www.montesole.org/). Infine, a Marzabotto, dal 2016 è attiva la Casa della cultura e della memoria e al suo interno è presenta il Centro di Interpretazione di Monte Sole (https://www.comune.marzabotto.bo.it/servizi/turismo/servizio-informazione-turistica). Invece nella stazione di Vado dal 2023 è possibile visitare il Museo Spazio Stella Rossa (https://spaziostellarossa.it/).
La battaglia di Monterumici
L’avanzata della 34a divisione americana procede lungo la displuviale tra i fiumi Setta e Savena, ma dopo essere entrati a Monzuno il 5 ottobre, viene arrestata prima ca’ di Giulietta e poi a Furcoli, dando il tempo necessario alle unità della 4a divisione paracadutisti di asserragliarsi su Monterumici, altura in linea con Livergnano e prospicente monte Adone di Brento.
Dopo un primo tentativo infruttuoso compiuto l’8 ottobre dal 135° reggimento della 34a divisione, i comandi americani riorganizzano il settore, spostando il resto della 34a divisione a est e facendo affluire in zona il Combat Command A (Cca) che viene aggregato al 135° reggimento unica unità che è rimasta.
L’11 ottobre iniziano gli attacchi americani contro Furcoli e ca’ di Bocchino, posti sulla linea a protezione di Monterumici e difesa dall’11° reggimento della 4a divisione paracadutista tedesca. Sono giorni di pioggia e di fango. Gli attacchi americani si susseguono, ma ogni tentativo viene respinto. Intanto il generale Clark non è soddisfatto delle prestazioni del 135° reggimento, tanto che il 16 ottobre scrive: “Sono molto deluso dalla 34a divisione, L’attacco del 135° [reggimento] a Monterumici è la prova della loro mancanza di volontà di combattere […] Ci sono molti anziani [veterani] nella 34a divisione […] Sono esperti e [allo stesso tempo] stanchi delle battaglie […] Questa è la divisione che da tempo chiede a gran voce di essere rimandata a casa. Non capiscono perché debbano combattere una battaglia dopo l’altra. I comandanti delle piccole unità sono scarsi e per un comandante di divisione e uno o due buoni leader è un compito arduo cambiare [l’atteggiamento dell’intera divisione. […] Non appena la battaglia sarà terminata, dovrò fare pulizia in quel reggimento”.
Il 16 ottobre, un’altra unità del Cca rileva il 135° reggimento e il giorno successivo attacca in direzione di Monterumici arrivando nella zona di Furcoli, ma un contrattacco li riporta alla partenza. Due giorni dopo gli americani ci provano di nuovo, ma i tedeschi riescono bloccare subito il tentativo. Le avanguardie americane rientrano solo a sera, dopo aver subìto ingenti perdite. Di fronte a loro combattono ora soldati del reparto esplorante della 16a divisione SS.
Il 18 ottobre, davanti a Monterumici si ferma l’avanzata americana in questo settore.
Riporta il bollettino della Quattordicesima armata tedesca:
“18.10.1944 [16a divisione SS] Nella zona di Monterumici […] ancora due attacchi condotti con il più forte appoggio dell’artiglieria furono respinti dal 16° reparto esplorante SS in [azione di] contrattacco. In 30 ore, la divisione ha così respinto un totale di 11 attacchi nemici condotti con il più forte supporto dell’artiglieria”.
Da questo momento in poi l’azione della 34a divisione americana prosegue contro monte Belmonte che viene attaccato il 16 ottobre. Il monte è difeso dal 71° reggimento della 29a divisione e dal 267° reggimento della 94° divisione tedesca. I combattimenti sono duri e solo il mattino del 22 ottobre il 133° reggimento (34a divisione) riesce a conquistare la cima.
La battaglia di monte Grande: a un passo dalla pianura
Nella strategia americana la conquista di monte Grande è importante, anche perché l’altura si trova a pochi chilometri dalla via Emilia.
In realtà monte Grande fa parte di un massiccio montuoso di cui fanno parte anche monte Cerere, che si trova a nord e Montecalderaro, ultimo baluardo prima della pianura.
Per questo motivo il generale Clark promette al comandante dell’88ª divisione americana la promozione in caso di vittoria. Scrive Clark: “E vi fu il giorno in cui visitai [il comandante dell’88a divisione] […] Gli dissi: ‘Bull, vede il Monte Grande lassù? Be’ la sua stella è su quella vetta […] Vada a prendersela”.
Il primo obiettivo del 349° reggimento è quindi la conquista di monte Cerere, altura che permette di attaccare monte Grande.
Il 18 ottobre 1944, dopo ben 158 missioni aeree contro il massiccio montuoso, e il fuoco di preparazione dell’artiglieria che spara più di ottomila colpi, il 1° battaglione del 349° reggimento (88a divisione) parte all’attacco di monte Cerere che viene preso all’alba del 20 ottobre.
Intanto la notte del 19 ottobre, il 2° battaglione dello stesso reggimento attacca monte Grande. L’avvicinamento è problematico, dopo un primo successo iniziale i tedeschi contrattaccano e respingono gli americani, comunque la cima viene presa il 20 ottobre.
Il prossimo obiettivo americano è la conquista di Montecalderaro. Infatti, la notte tra il 21 e il 22 ottobre il 3° battaglione del 351° reggimento, aggregato al 349°, parte all’attacco della cima che prende il mattino del 23 ottobre.
La conquista di Montecalderaro entusiasma il comando americano che vede la possibilità di arrivare alla via Emilia velocemente. Per questo motivo l’ordine è di prendere Vedriano.
Intanto i tedeschi lanciano ben due contrattacchi contro Montecalderaro che però vengono respinti.
La notte tra il 23 e il 24 ottobre il 2° battaglione del 351° reggimento attacca la località di Vedriano e la conquista. Tutto sembra volgere per il meglio, quando i tedeschi contrattaccano il paese e circondano gli americani facendoli prigionieri: ottanta soldati catturati.
L’operatore radio tedesco, trasmissione che viene intercettata dagli americani, comunica al suo comando: “Vedriano ripresa. Ottanta americani catturati”.
I tedeschi contro cui hanno combattuto gli americani sono il 361° reggimento della 90ª divisione, a cui sono stati aggregati i paracadutisti del 4° reggimento della 1a divisione.
La notte stessa gli americani tentano di riprendere Vedriano, ma vengono respinti.
Annota Clark: “La nostra offensiva morì lentamente e penosamente, quando era ormai giunta ad un passo (un lungo passo) dal successo, come il maratoneta che crolla allungando la mano verso il traguardo ma senza riuscire a toccarlo”.
Nel Villaggio della salute più è stato allestito il “Museo della Linea Gotica nelle nostre terre”.
La battaglia di Livergnano
Alla fine di settembre 1944, il comando americano dopo aver preso monte Battaglia cambia l’asse principale di avanzata spostandolo lungo la statale 65 del passo della Futa dove sta procedendo la 91a divisione.
Livergnano è il punto in cui la statale 65 attraversa il contrafforte pliocenico, una parete rocciosa alta un centinaio di metri. Il paese è dominato a ovest dall’altura su cui sorge la chiesa e a est dal monte Sconcola.
Il piano per conquistare Livergnano prevede che il 1° battaglione del 361° reggimento lo attacchi frontalmente, mentre il 2° deve raggiungere la località Bigallo (a est) e salire sulla cima dall’unico posto dove è possibile farlo. Una volta raggiunta la cima del contrafforte, il battaglione deve attaccare le altre alture in direzione del paese.
Il pomeriggio del 9 ottobre, la compagnia K (aggregata al 1° battaglione) si spinge verso Livergnano. Tutto sembra tranquillo, ma quando giungono alle prime case i tedeschi aprono il fuoco dal monte Sconcola. È una carneficina, i pochi sopravvissuti riescono a trovare riparo dentro due case, una sinistra e una a destra della strada: un’abitazione di quattro piani, entrambe poste all’ingresso del paese. Gli americani hanno però le radio fuori uso. I soldati combattono furiosamente per scongiurare gli assalti dei tedeschi, fin quando nella piazza arriva un cannone semovente che inizia a sparare. Ai soldati non rimane che asserragliarsi al piano terra.
Verso sera una pattuglia di americani, dotata di radio, raggiunge i compagni asserragliati nell’edificio a quattro piani.
Intanto, alle sei del mattino del 10 ottobre il 2° battaglione si dirige verso Bigallo e inizia la scalata, ma i soldati una volta giunti in vetta vengono bersagliati dai cecchini tedeschi; i primi soldati giunti sull’altura trovano riparo dentro un lieve avvallamento, mentre gli altri devono retrocedere e rifugiarsi appena sotto il bordo del contrafforte. Tutti i successivi tentativi di raggiungere la sommità vengono respinti, lasciando isolati gli uomini che sono saliti per primi.
Nel frattempo la compagnia B riceve l’ordine di prendere monte Sconcola. Pur essendo in ritardo il comandante decide di avanzare ugualmente. Quando i soldati arrivano alle prime case del paese vengono investiti da un nutrito fuoco d’interdizione che costringe l’avanguardia a rifugiarsi nella casa a sinistra della strada, dove si trovano altri americani della compagnia K.
I tedeschi chiedono la resa o col semovente distruggeranno l’edificio. Ai due comandanti intrappolati non rimane che arrendersi; tra l’altro stanno finendo le munizioni.
Alle 10,45 del mattino (11 ottobre), dopo tre di combattimento, ormai senza più munizioni, gli americani bruciano i documenti, mettono fuori uso la radio e si arrendono: sono 81.
Intanto il mattino stesso la compagnia A tenta di dar manforte agli americani asserragliati in paese cercando di conquistare l’altura a ovest. Il tentativo riesce anche se gli americani devono trovare riparo nella chiesa, ma sotto l’azione di un carro armato tedesco riescono a ritirarsi, scampando alla distruzione dell’edificio.
Il 12 ottobre la compagnia B è pronta ad attaccare monte Sconcola, nel frattempo i mezzi anticarro americani sparano sulla cima ben 300 proiettili, coadiuvati dai cacciabombardieri, mentre l’artiglieria spara circa 8.000 proiettili nell’intero settore. Il paese è un inferno e il contrafforte arde come stesse bruciando.
Sotto questo imponente fuoco d’artiglieria gli uomini della compagnia B arrivano fin davanti le postazioni tedesche e quando l’artiglieria cessa il fuoco le assaltano, non dando ai tedeschi il tempo di uscire dai loro rifugi.
All’alba del 13 ottobre i soldati attaccano la cima e la conquistano. Dopodiché anche le altre compagnie rimaste bloccate possono avanzare e conquistare l’intero settore; nel frattempo i tedeschi si ritirano.
Non si conosce il numero preciso dei morti americani, ma sono davvero molti. Qui si ferma l’avanzata americana lungo la statale 65.
A Livergnano è possibile visitare il Museo Winter Line ricavato dentro un garage scavato nella roccia del contrafforte pliocenico (https://www.facebook.com/LivergnanoWinterLineMuseum/?locale=it_IT).
La battaglia di ca’ Guzzo e la strage di Sassoleone
La reazione tedesca è immediata. Il mattino seguente l’80° battaglione del genio (44a divisione “Hoch- und Deutschmeister”) giunge a ca’ Cosellini e incendia le case, poi si dirige a Sassoleone che circonda. I primi civili vengono uccisi nelle proprie abitazioni che poi vengono incendiate. In seguito, altri civili vengono allineati davanti al campanile e fucilati, infine i tedeschi fanno esplodere il campanile. Le vittime sono 23.
Il mattino del 26 settembre la 1a e la 3a compagnia della 36a “Bianconcini”, comandante da Gaudenzi (successore di De Giovanni) e Poli si stabiliscono quindi a ca’ Guzzo e ai Casoni di mezzo, controllando l’accesso alla valle del Sillaro. Inoltre De Giovanni si incontra con Proni (comandante della 62a “Camicie Rosse”) per stabilre un patto di reciproca assistenza, infine quest’ultima brigata si schiera a guardia del versante di Monterenzio.
Il 27 settembre unità della 44a “Hoch- und Deutschmeister” raggiungono Nuvolare di Sopra per attaccare la 62a “Camicie Rosse”. Proni prende l’iniziativa e contrattacca i tedeschi, ma l’azione viene respinta. Intanto i partigiani di Gaudenzi e De Giovanni catturano un prigioniero tedesco il quale confessa che i partigiani si trovano nel bel mezzo della ritirata tedesca.
Intanto i tedeschi del 956° reggimento (362a divisione) giungono nell’aia di ca’ Guzzo e la assaltano, ma i partigiani respingono il tentativo. Ben presto però scoprono di essere accerchiati. I partigiani discutono della situazione e decidono di avvertire la 62a “Camicie Rosse” che avrebbe potuto prendere i tedeschi alle spalle. De Giovanni e tre partigiani escono da ca’ Guzzo, nel frattempo è iniziato l’attacco tedesco. I partigiani dentro la casa resistono, intanto De Giovanni giunto ai Casoni di mezzo invia una staffetta per avvisare la 62a “Camicie Rosse”, ma nessuno partigiano li raggiunge. A quel punto lo stesso De Giovanni, con i pochi partigiani presenti, tenta ugualmente l’azione che sorprende i tedeschi creando un varco nello schieramento. I partigiani dentro ca’ Guzzo, quelli che riescono a camminare, decidono per la sortita, ma non tutti vi riescono. Il mattino del 28 settembre i tedeschi irrompono nella casa e catturano i presenti. Allontanate le donne, gli 11 uomini rimasti vengono allineati davanti al letamaio e fucilati. Sono 14 i partigiani caduti in combattimento.
Nel libro della 362a divisione tedesca la battaglia viene definita come “la più grossa difficoltà per schierarsi sulla nuova linea difensiva […] I partigiani […] difendendosi da postazioni fortificate, inflissero severe perdite ai nostri soldati e ci volle un attacco pianificato di tutto un battaglione per avere ragione della loro resistenza”.
A ca’ Guzzo è presente un memoriale dedicata alla battaglia, mentre nella vicina Castel del Rio esiste il Museo della Guerra Linea Gotica Castel del Rio (www.museodellaguerradicasteldelrio.it).
La battaglia di Fiesso e Vigorso
Il 16 ottobre 1944 un gruppo di partigiani delle brigate bolognesi: 36a “Bianconcini”, 62a “Camicie Rosse” e 66a “Jacchia” rimasti dietro le linee, su ordine del Cumer si trasferiscono nella zona di Budrio per unirsi alla 4a brigata “Venturoli” e insieme raggiungere Bologna.
Giunti sull’argine del fiume Idice i partigiani incontrano alcuni del battaglione Sap “Pasquali” che li accompagnano nel luogo dove devono incontrare la guida che li deve condurre a Bologna. La guida però non arriva e il comandante del battaglione “Pasquali” decide di sistemarsi in una casa colonica nel podere Prando di Vigorso (Budrio). Qui, però, sono presenti alcuni disertori dell’esercito tedesco di origine polacca o cecoslovacca, per cui i partigiani decidono di spostarsi nel podere Mazzacavallo: è il 20 ottobre.
Da alcuni giorni gira voce di un imminente rastrellamento tedesco. Infatti, all’alba del 21 ottobre, i tedeschi del battaglione di riserva della 305a divisione tedesca, coadiuvati dai militi della 23a Brigata nera “Facchini”, avuta la notizia della presenza dei partigiani – grazie alle informazioni recuperate dal Frontaufklärungstrupp 373, attivo in zona da alcuni giorni –, iniziano un vasto rastrellamento partendo dalla zona di Fiesso di Castenaso.
Quando il rastrellamento raggiunge il podere Mazzacavallo, sotto una fascina di rami, vengono rinvenute delle armi, probabilmente lasciate dal gruppo dei partigiani, anch’essi diretti a Bologna, che vi hanno sostato la sera precedente.
I tedeschi circondano la casa e iniziano a perquisirla. I partigiani sono nascosti nel fienile e quando i tedeschi aprono la botola per guardare all’interno aprono il fuoco. A quel punto inizia lo scontro a fuoco. I partigiani cercano di uscire dal fienile e disperdersi.
Cinque partigiani muoiono nello scontro a fuoco, poi i tedeschi catturano un partigiano e sette civili che vengono uccisi.
I partigiani sfuggiti dal podere Mazzacavallo raggiungono il fondo Vanti di Fiesso (Castenaso), ma quando si avvicinano alla casa scoprono che è occupata dai tedeschi. Nello scontro a fuoco muoiono due partigiani, mentre altri partigiani e alcuni civili si rifugiano nei campi. Qui vengono trovati da una squadra di militi della brigata nera che li allinea davanti alle finge di paglia per fucilarli. In quel momento giunge un civile che accompagna il maresciallo tedesco Müller (responsabile del polverificio Baschieri-Pellagri di Marano) che dapprima riesce a sospendere la fucilazione e in seguito a evitarla.
Altri scontri avvengono nel pomeriggio del 21 ottobre nella possione Corazzina di Castenaso, dove alcuni partigiani, dopo gli scontri di Vigorso e di Fiesso, hanno cercato scampo. Un partigiano muore nello scontro, mentre un altro viene fucilato.
Tutti le persone catturate sono quindi condotte a Medicina per essere interrogate. Il mattino del 22 ottobre otto partigiani vengono fucilati, mentre 350 persone (un documento riporta invece la cifra di 193) vengono condotte al campo di Fossoli di Carpi. La maggior parte dei prigionieri viene poi trasferita a Peschiera del Garda per essere impiegata come manodopera coatta.
La battaglia dell’Argenta Gap
Nel piano di sfondamento finale del fronte di guerra, il ruolo dell’Ottava armata nell’operazione “Buckland” è articolato, infatti l’avanzata si svolge su tre direttrici: lungo la via Emilia in direzione di Bologna per dar man forte all’attacco americano sulla stessa città proveniente da sud; seguire la direzione di Massalombarda-Budrio per aggirare Bologna da nord e procedere lungo la statale 16 – la conquista di Ravenna del dicembre 1944 avviene proprio in questo contesto – anche se in quest’ultimo caso si deve superare la cittadina di Argenta, che diverrà nota come Argenta gap, in quanto in questo settore i tedeschi hanno allagato i campi circostanti creando serie difficoltà alle operazioni alleate.
Gli altri comandi alleati caldeggiano che lo sforzo principale dell’Ottava armata sia rivolto lungo la direttrice Massalombarda-Budrio, invece il comandante britannico McCreery predilige la statale 16 col fine di tagliare la strada alla ritirata tedesca prima che raggiunga il fiume Adige.
Alla fine McCreery, pur avanzando lungo le altre due direttrici, sceglie di concentrare lo sforzo principale sulla statale 16 e per forzare l’Argenta gap organizza una serie di operazioni speciali nel settore est, nella zona delle valli di Comacchio, da realizzarsi da parte dei reparti della 2a brigata “Commando” britannica, coadiuvata dai partigiani della 28a brigata “Gordini”. Le operazioni anfibie si svolgono dal 1° al 4 aprile 1945: “Roast” (occupare lo Spit), dal 4 al 5 aprile: “Fry” (occupare alcune isole delle valli) e dal 6 all’8 aprile: “Lever” (impossessarsi della zona detta “Wedge”).
Successivamente con l’inizio dell’offensiva finale altre operazioni interesseranno la stessa zona: 11 aprile: operazione “Impact Plain” (occupare Menate e Longastrino), 13 aprile: “Impact Royal” (occupare Bando e dirigersi su Argenta); invece l’operazione “Impact Slam” (procedere su Portomaggiore) viene annullata.
L’offensiva finale prende avvio il 9 aprile 1945 con l’azione dei bombardieri alleati che a più riprese effettuano pesanti bombardamenti a tappeto a est della linea che corre tra Lugo e Castelbolognese, provocando centinaia di morti civili. Anche Argenta viene bombardata il 12 aprile, l’azione causa più di cinquecento vittime tra morti e feriti, dopodiché i reparti britannici partono all’attacco; l’operazione “Impact Plain è iniziata però il giorno precedente.
L’azione di conquista di Argenta si sviluppa su tre colonne: da est (operazioni “Impact Plain” e “Impact Royal” della 78a divisione britannica), da sud, dovendo superare il fiume Reno a San Biagio, lungo la direttrice Cotignola-Lugo (altri reparti della 78a divisione britannica) e da ovest, avanzando lungo la zona allagata (valle di Campotto) a ridosso della statale (2a brigata Commando).
Il 17 aprile unità britanniche della 78a divisione riescono a chiudere il cerchio ad Argenta a nord, isolando di fatto la cittadina, che viene definitivamente conquistata due giorni più tardi. I britannici hanno combattuto contro unità tedesche della 42a divisione e della 29a corazzata, che si sono ritirate.
Un’ultima difesa viene organizzata dai tedeschi a Sant’Antonio, poco a nord di Argenta. Comunque la conquista della cittadina apre la strada all’Ottava armata sia verso Ferrara e il fiume Po, ma anche verso Finale Emilia dove le unità britanniche si incontreranno con quelle americane.
Ad Argenta è presente il cimitero di guerra della Commonwealth War Graves Commission dove sono sepolti 625 caduti dell’Ottava armata.
La liberazione di San Pietro in Casale
Comune prevalentemente agricolo, San Pietro in Casale ha dato un grande contributo alla Resistenza, dallo sciopero delle mondine al recupero dei capi di bestiame razziati dai tedeschi.
Nell’aprile 1945, i partigiani della 2a brigata Garibaldi “Paolo”, in vista della liberazione della pianura bolognese, dal giorno 18 si concentrano al Casone (frazione di Rubizzano), loro base operativa; hanno l’ordine di raggiungere Bologna o, in caso non sia possibile, liberare la loro zona. Contemporaneamente all’avanzata alleata, il 20 aprile 1945, prende avvio l’operazione aviotrasportata “Herring”: paracadutisti del ricostituito esercito italiano vengono lanciati in territorio occupato e una squadra atterra nella zona di Maccaretolo; alcuni paracadutisti rimangono uccisi. Il 21 aprile neozelandesi e partigiani si incontrano al Ponte della Morte, nella zona di Altedo e si accordano per evitare la distruzione di San Pietro in Casale: i partigiani libereranno la cittadina con l’appoggio dei corazzati alleati. Ma il 22 aprile, all’ora convenuta, i carri armati non si presentano e i partigiani decidono di agire ugualmente. Divisi su tre colonne i partigiani attaccano San Pietro in Casale. La colonna sud, partita da Rubizzano, viene blocca dalla resistenza tedesca e deve retrocedere. Anche la colonna centrale, giunta nei pressi della ferrovia, dove sono appostati i tedeschi, viene bloccata e anche in questo caso i partigiani devono ripiegare. La colonna nord, in marcia verso Gavaseto, viene bloccata dalla resistenza tedesca nei pressi della fattoria Pizzirani. Il primo tentativo di conquista viene respinto e nello scontro muoiono alcuni partigiani. Un partigiano risolve la situazione incendiando il fienile dove sono asserragliati i tedeschi, che devono ritirarsi. San Pietro in Casale è quasi libera. All’imbrunire, neozelandesi e partigiani si incontrano nuovamente davanti all’ingresso del paese e i resistenti invitano i soldati a entrare, ma un ufficiale carrista neozelandese nota sul campanile una postazione di mitragliatore e chiede ai partigiani di eliminarla. Due abili partigiani salgono sul campanile, catturano i due tedeschi e gettano giù il mitragliatore: è il segnale che San Pietro in Casale è libera. I neozelandesi vi entrano in forze il mattino presto del 23 aprile. Ventidue sono i partigiani caduti durante la liberazione della cittadina. Mentre la vicina San Venanzio di Galliera, dopo alcuni scontri con i tedeschi, viene liberata dai partigiani del locale distaccamento con l’aiuto dei paracadutisti italiani.
La Zona libera del Belvedere. Partigiani e alleati sulla Linea Gotica
A partire dal 24 settembre 1944, durante l’arretramento del fronte, nella zona del Belvedere prende avvio spontaneamente l’esperienza della zona libera. La brigata bolognese “Matteotti montagna” libera – senza un piano preordinato – i comuni di Granaglione, di Castel di Casio, di Sambuca pistoiese e di Castelluccio di Porretta. Nel frattempo più di un migliaio dei partigiani modenesi al comando di “Armando” (Mario Ricci) il 29 settembre giunge a Castelluccio di Porretta e il 5 ottobre libera Lizzano in Belvedere.
Accade anche che il 27 settembre, le truppe tedesche dell’esercito in ritirata, dopo essere transitate dal lago Scaffaiolo, giunte nella valle del Dardagna, vengono fatte segno di alcune raffiche di mitragliatore (nessun tedesco muore o viene ferito): è l’inizio della strage di Ca’ Berna, durante la quale vengono uccise 30 persone. I tedeschi, scendono poi a Vidiciatico, dove catturano una settantina di civili, poi, avute le rassicurazioni – tramite l’opera del parroco che fa da mediatore con i partigiani – che non verranno attaccati, il mattino successivo riprendono il cammino verso Ronchidoso, portando con loro solo alcuni ostaggi; giunti però a Ronchidoso incappano in altri partigiani. Nello scontro a fuoco, non voluto, un soldato tedesco rimane ferito e scatta la repressione, tanto che nei due giorni 28 e 29 settembre, sono settanta le persone uccise.
Intanto l’avanzata degli americani, dopo Pistoia, sempre a fine settembre, si ferma al Passo della Collina, dove avvengono i primi contatti tra partigiani e alleati, e grazie all’opera di un agente dell’Oss (servizio segreto americano), alla metà di ottobre prende avvio l’esperienza della divisione “Modena Armando” di cui fanno parte anche la brigata “Matteotti montagna” e la “Giustizia e Libertà” (che il 20 ottobre libera Gaggio Montano). I partigiani vengono così aggregati all’esercito americano e riforniti di armi, uniformi e viveri.
Il “battesimo del fuoco” della divisione “Modena Armando” avviene il 29 ottobre quando ai partigiani viene ordinato di attaccare il monte Belvedere. Salendo lungo i pendii i partigiani riescono ad arrivare sul crinale, ma il previsto arrivo dei rinforzi americani non avviene e così devono retrocedere; nonostante ciò hanno dimostrato di aver saputo eseguire il compito assegnato. Per altre due volte (in novembre e in dicembre) la divisione deve attaccare il crinale del monte Belvedere come azione di supporto alle operazioni brasiliane contro monte Castello; il 12 dicembre 1944, in località Corona, muore Antonio Giuriolo, comandante della “Matteotti montagna”.
In seguito i partigiani collaborano con gli americani durante le azioni di pattuglie, inoltre la brigata “Matteotti montagna” (le altre formazioni vengono inviate a riposo) partecipa alla prima fase dell’operazione americana denominata “Encore”, quando i mountaineer americani della 10a divisione, il 20 febbraio 1945, conquistano il monte Belvedere. Durante il mese di marzo, assieme ai brasiliani, i partigiani presidiano il crinale dei monti della Riva, mentre in aprile, in supporto ai brasiliani che attaccano Montese, la divisione conquista il crinale Cima Tauffi – monte Lancio di Fanano (19 aprile), poi il giorno seguente entra a Fanano e a Sestola, proseguendo verso Pavullo. Infine i partigiani di “Armando” vengono fermati a Sassuolo.